Avvocato Domenico Esposito
 

 

 

RIASSUNZIONE, BASTA IL DEPOSITO DEL RICORSO PER IMPEDIRE LA DECADENZA

 

LA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO DOPO L'INTERRUZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA, SECONDO GLI ART. 303 E 305 C.P.C., CON IL DEPOSITO DEL RICORSO, ENTRO IL TERMINE PRESCRITTO, PRESSO LA CANCELLERIA DEL GIUDICE PRECEDENTEMENTE ADITO, E TALE DEPOSITO IMPEDISCE L'ESTINZIONE DEL PROCESSO.
NEL CASO IN CUI LA SUCCESSIVA NOTIFICAZIONE DEL RICORSO E DEL DECRETO DI FISSAZIONE DELL'UDIENZA SIA NULLA O IMPERFETTA, IL GIUDICE, IN APPLICAZIONE ANALOGICA DELL'ART. 291 C.P.C., DEVE FISSARE ALTRA UDIENZA E ASSEGNARE ALLE PARTI UN TERMINE, NECESSARIAMENTE PERENTORIO, PER LA RINNOVAZIONE DELLA NOTIFICAZIONE.
QUESTO PRINCIPIO SI APPLICA SIA ALLE CONTROVERSIE ORDINARIE CHE A QUELLE SOGGETTE AL RITO DEL LAVORO, POICHE’, IN TEMA DI RIASSUNZIONE, IL CODICE PREVEDE UN'UNICA DISCIPLINA (ARTT. 299-303 C.P.C.).

 

Cassazione civile, sez. un. 28/06/2006 n. 14854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione -
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere -
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Consigliere -
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza


sul ricorso proposto da:

(…), in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis; - ricorrente –

contro

(…), domiciliato in ROMA, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (…), giusta delega in calce al controricorso; - controricorrente –
e contro

(…) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE; - intimata -

e sul 2^ ricorso n. 21744/2003 proposto da:

(…) IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro- tempore, domiciliata in ROMA, presso LA CANCELLE RIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato (…), giusta procura speciale del notaio dott. (…), rep. 66893 del 18/07/2003, in atti; - controricorrente e ricorrente incidentale
-contro

REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis; - controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

(…); - intimato –

avverso la sentenza n. 68/2003 della Corte d'Appello di CAGLIARI, depositata il 10/03/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/05/2006 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;

udito l'Avvocato Roberta TORTORA dell'Avvocatura Generale dello Stato, Luigi MARCIALIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione, del ricorso incidentale con dichiarazione di estinzione del giudizio di appello.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. (…) e la società (…) s.p.a., in liquidazione, con atto notificato il 21 febbraio 1978 citarono la Regione autonoma Sardegna in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari. Riferirono che, con un D.P.G.R. 28 marzo 1963, detta società era stata ammessa al beneficio dell'anonimato azionario, in forza di quanto previsto dalla L.R. 12 aprile 1957, n. 10, con autorizzazione ad emettere azioni al portatore sino a L. 1.000.000.000. Il sig. (…), in applicazione del disposto dell'art. 3 della citata legge, aveva depositato presso la tesoreria della Regione diecimila azioni, del valore nominale di L. 10.000 ciascuna: duemila a titolo di cauzione riferita al capitale di costituzione della società, ammontante a complessive L. 200.000.000, ed altre ottomila quale cauzione in vista del programmato aumento del medesimo capitale sino all'importo di L. 1.000.000.000.

Tale aumento di capitale non era stato poi però eseguito, ne’ era stato possibile dar corso al previsto programma industriale.

Era inoltre accaduto che, per effetto dell'entrata in vigore della L.S. 9 ottobre 1971, n. 825, e del conseguente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, fosse divenuto obbligatorio il regime di nominatività dei titoli azionari; il che aveva determinato l'abrogazione, in quanto incompatibile, della citata L.R. n. 10 del 1957 e l'obbligo di convertire in azioni nominative le azioni al portatore emesse in forza di detta legge.

In conseguenza di tutto ciò - riferirono ancora gli attori - la Regione aveva consegnato alla società (…)i titoli azionari a suo tempo depositati dal sig. (…), chiedendone l'intestazione entro i termini di legge a chi di dovere; ma aveva poi avanzato richiesta di restituzione dei corrispondenti titoli nominativi, assumendo di aver diritto ad incamerarli.

Tanto premesso, gli attori chiesero al tribunale di accertare il diritto di proprietà del sig. (…) sui titoli azionari di cui s'è detto e di condannare la Regione a risarcire il danno conseguente al ritardo cagionato alle operazioni di liquidazione della società, da quantificarsi in separato giudizio.

La Regione convenuta si costituì facendo presente che, con Decreto emesso in data 22 novembre 1974 dal presidente della giunta, essendo la società (…)decaduta dal beneficio dell'anonimato azionario, era stato disposto l'incameramento delle azioni in precedenza depositate a titolo di cauzione dal sig. (…); e che l'impugnazione tardivamente proposta dalla società avverso l'ulteriore D.P.R. 13 giugno 1975, con cui era stato respinto il reclamo formulato contro il primo provvedimento, era stata dichiarata inammissibile dal Tar della Sardegna, con sentenza in data 19 aprile 1977, passata in giudicato.

Eccepi’ pertanto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e chiese, comunque, il rigetto delle domande proposte dagli attori.

Il tribunale, ritenuta la propria giurisdizione, accolse invece dette domande, dichiarando la proprietà del sig. (…) sulle diecimila azioni a suo tempo depositate a titolo di cauzione e condannando la Regione al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio.

La Regione propose appello, cui resistettero il sig. (…) e la società (…).

A seguito del decesso del difensore degli appellati, il processo fu interrotto.

Fu poi riassunto dall'appellante e proseguì, nella dichiarata contumacia della società, dopo che il consigliere istruttore, rilevata la nullità della notifica dell'atto di riassunzione alla medesima società, ne aveva disposto la rinnovazione.

Quindi, con sentenza depositata il 10 marzo 2003, la Corte d'appello di Cagliari rigettò il gravame.

La corte sarda, previa reiezione dell'eccezione con cui la difesa dell'appellato sig. (…) voleva fosse dichiarata l'estinzione del processo per intempestiva riassunzione dello stesso dopo l'interruzione dovuta alla morte del difensore della società (…), ritenne che sussistesse la giurisdizione del giudice ordinario e che le domande degli attori (poi appellati) fossero fondate: giacche’ il decreto con cui il presidente della giunta regionale aveva disposto l'incameramento delle azioni depositate a titolo di cauzione - decreto fondato sulla previsione di una legge regionale ormai abrogata - doveva considerarsi emesso in totale carenza di potere, ed era quindi inidoneo ad incidere sulla titolarità della partecipazione azionaria spettante al sig. (…).

Donde il riconoscimento anche del diritto al risarcimento dei danni sofferti da quest'ultimo e dalla società (…), le cui operazioni di liquidazione erano state così indebitamente ostacolate, tenuto anche conto del fatto che le ottomila azioni consegnate dal sig. (…) in vista dell'aumento di capitale poi non eseguito neppure potevano essere considerate come facenti parte della cauzione.

Avverso tale sentenza la Regione Sardegna ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in cinque motivi.

Hanno resistito con separati controricorsi il sig. (…) e la società (…), proponendo altresì ricorso incidentale (a quello del sig. (…) non è stato attribuito un autonomo numero di ruolo), cui la Regione Sardegna ha a propria volta replicato con controricorso.

Il difensore della società (…) ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima debbono preliminarmente essere riuniti, secondo quanto dispone l'art. 335 c.p.c..

2. Dei cinque motivi in cui si articola il ricorso principale, il primo ed (in parte) il terzo attengono alla giurisdizione, gli altri (e la parte restante del terzo) al merito della controversia.
I ricorsi incidentali (tra loro sovrapponibili) ripropongono invece il tema dell'eccepita estinzione del giudizio in grado d'appello perche’ non ritualmente riassunto dopo l'intervenuta interruzione.
L'esame dei ricorsi incidentali si prospetta come logicamente preliminare.

3. Per intendere compiutamente i termini della questione processuale posta con detti ricorsi incidentali conviene anzitutto riassumere brevemente l'accaduto.

3.1. All'udienza del 23 novembre 1998, a seguito del decesso del difensore degli appellati, il giudizio di secondo grado fu interrotto.
Il 15 aprile 1999 la difesa della Regione appellante depositò un ricorso per riassunzione, in calce al quale l'istruttore fissò per la prosecuzione del giudizio l'udienza del 22 novembre 1999, con termine sino al 30 giugno 1999 per la notifica alla controparte.
L'atto di riassunzione fu notificato, entro il predetto termine, al sig. (…) (che si costituì nuovamente in causa) ed alla società (…) (che invece non si costituì); ma la validità di tale ultima notifica - effettuata nella residenza del legale rappresentante della società, ai sensi dell'art. 140 c.p.c. - fu contestata dalla difesa del sig. (…), che chiese perciò la declaratoria di estinzione del giudizio.
Dopo alcune udienze dedicate alla discussione di siffatta eccezione, l'istruttore, avendo ritenuto che l'anzidetta notifica fosse nulla, perche’ nella relazione dell'ufficiale giudiziario non era stata menzionata l'avvenuta affissione dell'avviso di deposito alla porta dell'abitazione del destinatario, come prescritto dal citato art. 140, ne dispose la rinnovazione, fissando a tal fine un nuovo termine.
Nel rispetto di questo nuovo termine la notifica fui poi rinnovata e, non essendosi la societa’ (…) nemmeno questa volta costituita, ne fu dichiarata la contumacia.

3.2. chiamata a pronunciarsi sull'eccezione di estinzione del giudizio, la corte d'appello la ha disattesa, osservando: a) che entrambe le notifiche dell'atto di riassunzione alla società, non essendosi rinvenuto alcuno nella sede sociale, legittimamente erano state eseguite nella residenza del legale rappresentante, con le formalità previste dall'art. 140 c.p.c., in presenza delle condizioni in detta norma indicate; b) che, nondimeno, la prima di tali notifiche era da ritenersi nulla, per difetto di affissione dell'avviso alla porta dell'abitazione del destinatario; c) che alla declaratoria di nullita’ della prima notifica l'istruttore correttamente aveva fatto seguire la concessione alla parte interessata di un nuovo termine per la rinnovazione, essendo stato comunque rispettato, con il tempestivo deposito del ricorso per riassunzione, il termine perentorio di sei mesi previsto dall'art. 305 c.p.c. ed essendo da considerare meramente ordinatorio il termine per la notifica successivamente stabilito dal giudice.

3.3. Avverso tali argomentazioni si appuntano le critiche espresse nei ricorsi incidentali della società (…) e del sig. (…), i quali sostengono: a) che il mancato rispetto del termine originariamente fissato dall'istruttore per la notifica alla società dell'atto di riassunzione aveva ormai determinato l'estinzione del giudizio, non potendosi quel termine utilmente prorogare dopo la sua scadenza e, tanto meno, dopo la scadenza del termine semestrale perentoriamente fissato dall'art. 305 c.p.c.; b) che, comunque, anche la seconda notifica dell'atto di riassunzione sarebbe da ritenersi nulla, siccome effettuata nella residenza del legale rappresentante della società, a norma dell'art. 140 c.p.c., quantunque la sede della società fosse tuttora esistente e reperibile, ed in violazione della norma dettata dall'art. 145 c.p.c., da cui dovrebbe evincersi che, in caso di irreperibilita’ in detta sede di persone abilitate a ricevere l'atto, la notifica può avvenire presso la residenza del legale rappresentante solo nelle forme previste dagli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., e non anche ai sensi del citato art. 140 c.p.c..

4. Le doglianze teste’ riportate non hanno fondamento.

4.1. E' stato più volte ripetuto nella giurisprudenza di questa corte che, verificatasi una causa d'interruzione del processo, ha natura perentoria solo il termine di sei mesi stabilito dall'art. 305 c.p.c. per la riassunzione, laddove è meramente ordinatorio il termine in concreto assegnato dal giudice per la notifica dell'atto di riassunzione alla controparte, ex art. 303 c.p.c.; con la conseguenza che non è preclusa la proroga di quest'ultimo termine e che, in caso di sua scadenza, è consentita la concessione di altro termine per la notifica dell'atto riassuntivo.

Ma si è poi soliti soggiungere che la possibilità di concedere legittimamente siffatta proroga, o di rinnovare il termine di notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza, trova un limite invalicabile: limite consistente nel non essere frattanto già decorso il termine di sei mesi dalla conoscenza dell'interruzione del giudizio fissato dal citato art. 305 c.p.c. (per affermazioni di tal genere si vedano, tra le altre, Cass. n. 5548/1994, n. 8314/1997, n. 4365/1998, n. 5736/1999, n. 9504/2002, n. 5625/2002 e n. 14371/2005).

Da siffatto orientamento - o, per dir meglio, dall'ultima puntualizzazione in tale orientamento contenuta - si sono però discostate alcune pronunce di questa medesima corte, le quali, con riferimento a processi disciplinati dal rito applicabile per le cause in materia di lavoro, hanno affermato il principio secondo cui, una volta effettuata la riassunzione del processo interrotto, mediante il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice precedentemente adito entro il termine prescritto dall'art. 305 c.p.c., tale tempestivo deposito impedisce l'estinzione del processo, con la conseguenza che l'eventuale vizio o l'inesistenza (sia di fatto che giuridica) della notificazione del ricorso stesso e del decreto di fissazione dell'udienza emanato dal giudice non si comunica alla riassunzione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi il vizio, di assegnare alle parti, in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c. e previa fissazione di un'altra udienza di comparizione, un termine perentorio per la rinnovazione della notificazione, dovendo eventualmente pervenirsi ad una pronuncia di rito, che definisca in tal modo il processo, solo in caso d'inottemperanza della parte all'ordine di rinnovazione (Cass. n. 10747/1997 e n. 37/2001). Affermazione, questa, che - riallacciandosi espressamente all'insegnamento formulato da Sez. un. n. 6841/1996, in tema di omessa notificazione dell'atto di appello nel processo retto dal rito del lavoro - segna un'evidente linea di discontinuità rispetto all'orientamento giurisprudenziale dapprima riferito.

Facendo leva sulla previsione del citato art. 291 c.p.c. e sulla potestà accordata al giudice da tale norma di disporre il rinnovo della notificazione dell'atto di riassunzione in precedenza mal notificato, si svincola infatti del tutto tale potestà dal limite del decorso dei sei mesi dal verificarsi dell'evento interruttivo o dalla conoscenza che le parti abbiano avuto di esso.

Quest'ultimo orientamento è stato seguito da un'ulteriore più recente pronuncia (Cass. n. 14085/2005), anche in un caso nel quale risultava applicabile il rito ordinario, sul rilievo che il meccanismo riassuntivo disciplinato dagli artt. 303 e 305 c.p.c. è comune sia al processo retto dal rito ordinario sia a quello da applicare per le cause in materia di lavoro.

4.1.1. E' convinzione delle sezioni unite che l'orientamento giurisprudenziale da ultimo riferito meriti conferma, nei termini appresso indicati, e che debba perciò darsi ad esso continuità.

La riassunzione di una causa interrotta e non proseguita a norma dell'art. 302 c.p.c. si attua, com'è noto, mediante un procedimento bifasico: anzitutto con il deposito del ricorso per riassunzione nella cancelleria del giudice e, quindi, previa fissazione con decreto di apposita udienza ad opera del medesimo giudice, mediante notifica alla controparte del ricorso e del decreto. L'art. 305 c.p.c. (come risultante a seguito della sentenza n. 159/1971 della Corte costituzionale) fissa per la riassunzione il termine perentorio di sei mesi a decorrere dalla data in cui le parti hanno avuto conoscenza dell'evento interruttivo, ma non specifica espressamente se entro quel termine debbano essere espletate entrambe le fasi del procedimento di riassunzione sopra menzionate, ovvero soltanto la prima di esse.

La risposta, tuttavia, appare obbligata. Il termine in questione è posto, infatti, a carico della parte che intenda procedere alla riassunzione, ma solo la prima delle due fasi del procedimento - il deposito in cancelleria del ricorso per riassunzione - dipende immediatamente dall'iniziativa della parte stessa, essendo poi rimesso al giudice di stabilire i tempi entro cui dovrà essere espletata la seconda fase, consistente nella notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza. Può ben accadere (anzi, accade sovente ed è accaduto anche nella presente fattispecie) che il termine fissato dal giudice per eseguire la notificazione prescritta dall'art. 303 c.p.c. oltrepassi la scadenza semestrale prevista dal citato art. 305 c.p.c., onde è inevitabile che l'intero procedimento di riassunzione si completi oltre detta scadenza; nè si dubita - come già ricordato - che siffatto termine di notificazione, in sè solo considerato, abbia natura meramente ordinatoria, posto che il richiamato art. 303 c.p.c. non dispone diversamente.

E' perciò soluzione incongrua il far dipendere la concreta possibilità di disporre la rinnovazione di quella notificazione, se viziata, dalla scadenza di un termine che si riferisce ad un adempimento già compiuto e che potrebbe essere o meno già decorso in conseguenza di un evento - lo specifico tenore del decreto emesso dal giudice in calce al ricorso per riassunzione tempestivamente depositato dalla parte - del tutto indipendente dall'attività della parte medesima.

Soluzione non solo incongrua, ma anche contraria all'esigenza di evitare un'interpretazione che potrebbe comportare l'ingiustificata compressione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., e che rischierebbe altresì di determinare ingiustificate disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 della medesima Costituzione, perche’ potrebbe condurre a soluzioni opposte a seconda di una scelta del giudice (quella di far cadere di volta in volta il termine per la notifica al di qua o al di là della scadenza del semestre indicato dal citato art. 305 c.p.c.) dettata da ragioni organizzative che ben possono divergere da un ufficio all'altro o da un momento all'altro.

Ne’ va trascurato che siffatta esigenza di un'interpretazione costituzionalmente orientata (con particolare riferimento alla previsione del citato art. 24 Cost.) appare tanto più evidente quando - come nel caso in esame - il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza consegua ad un difetto di attività dell'ufficiale giudiziario: onde accadrebbe - se si seguisse la tesi qui avversata - che la parte la quale abbia tempestivamente provveduto agli adempimenti ad essa richiesti, depositando il ricorso per riassunzione entro il prescritto termine semestrale dalla conoscenza dell'evento interruttivo e consegnando poi all'ufficiale giudiziario la copia del medesimo ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza in tempo utile per la notifica alla controparte, si troverebbe nondimeno a subire l'estinzione del giudizio in conseguenza di un errore del procedimento di notifica ad essa non imputabile ne’ in alcun modo prevenibile.

Va perciò senz'altro preferita la diversa soluzione, già fatta propria da Cass. n. 14085/2005, ribadendo come, in presenza di un meccanismo di riattivazione del rapporto processuale interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio indicato dall'art. 305 c.p.c. sia riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento e recuperato così il contatto tra la parte interessata ed il giudice, quel termine non può più giocare alcun ruolo.

La fissazione successiva ad opera del medesimo giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che quell'altro precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde e risponde invece unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius, ivi compresa quella - espressamente menzionata dal citato art. 303 c.p.c., u.c. - secondo la quale la parte cui l'atto sia stato notificato e che non si sia costituita deve esser dichiarata contumace. Ed è perciò appunto alle disposizioni dettate dall'art. 291 c.p.c., implicitamente così richiamate, che occorre far riferimento per individuare la disciplina applicabile in caso di nullità della notifica dell'atto di riassunzione; donde la conseguenza che, in simili casi, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica medesima entro un termine perentorio (e che tale è perchè così espressamente lo definisce il primo comma del citato art. 291 c.p.c.), solo il mancato rispetto del quale determinerà poi l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291 c.p.c., u.c., e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3.

4.2. Del pari infondato è il secondo profilo di doglianza dianzi riferito, che attiene alla validità della rinnovata notifica dell'atto di riassunzione alla società (…).

Posto, infatti, che l'impossibilità di procedere alla notifica dell'atto presso la sede di detta società ubicata in Cagliari nello studio di un legale (conformemente alle indicazioni ricavabili dai prodotti certificati camerali) è incontestabilmente attestata dalla relazione dell'ufficiale giudiziario e non può essere ulteriormente rimessa in discussione in questa sede, deve trovare applicazione il principio già enunciato da Sez. un., n. 8091/2002, a tenore del quale, in tema di notificazione alle persone giuridiche, se la notificazione non può essere eseguita con le modalità di cui all'art. 145 c.p.c., comma 1, - ossia mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa - e nell'atto è indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, si osservano, in applicazione del 3 comma del medesimo art. 145 c.p.c., le disposizioni degli art. 138, 139 e 141 c.p.c.; e se neppure l'adozione di tali modalità consente di pervenire alla notificazione, si procede con le formalità dell'art. 140 c.p.c., da esperirsi nei confronti del legale rappresentante, se indicato nell'atto e se abbia un indirizzo diverso da quello della sede dell'ente; mentre solo nel caso in cui la persona fisica non sia indicata nell'atto da notificare, dette formalità sono da eseguire direttamente nei confronti della società.
Alla stregua di tale orientamento, al quale qui si intende dare continuità, la notifica dell'atto di cui si discute appare essere stata correttamente effettuata.

4.3. I ricorsi incidentali vanno dunque rigettati.
5. Si può allora passare al primo ed al terzo motivo del ricorso principale, che entrambi investono il tema della giurisdizione e sono perciò esaminabili congiuntamente.
5.1. La ricorrente amministrazione regionale anzitutto sostiene che la corte d'appello avrebbe dovuto rilevare anche d'ufficio, nei rapporti tra la Regione e la società (…), l'esistenza di un giudicato sulla giurisdizione del giudice amministrativo, conseguente alla sentenza con cui il Tar della Sardegna aveva dichiarato inammissibile il ricorso della medesima società avverso il decreto del presidente della giunta regionale che aveva disposto l'incameramento dei titoli azionari in questione. In detta sentenza, infatti, quel giudice aveva espressamente affermato la propria giurisdizione sul punto, rigettando un'eccezione pregiudiziale al riguardo sollevata dalla parte convenuta.
La medesima amministrazione ricorrente osserva, inoltre, che anche la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla società (…)si sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario, essendosi il giudice amministrativo già definitivamente pronunciato sull'inoppugnabilità dell'atto amministrativo da cui sarebbe scaturito il preteso danno, con conseguente preclusione di ogni eventuale successiva pronuncia del giudice ordinario che possa viceversa implicare la non legittimità di quell'atto; e ciò anche in termini di eventuale disapplicazione del citato decreto di incameramento delle azioni, finalizzata all'affermazione del diritto di proprietà del sig. (…) sulle stesse, trattandosi di un diritto ormai degradato ad interesse legittimo proprio per effetto di detto decreto, rispetto al quale il giudice ordinario non disporrebbe del potere di emanare un provvedimento sostitutivo.

5.2. Va premesso che, contrariamente a quanto sostengono i controricorrenti, la doglianza prospettata dalla difesa della Regione in tema di giudicato sulla giurisdizione non è inammissibile.
Il fatto che di una tale questione non si fosse discusso nei gradi di merito non ne preclude infatti l'esame in questa sede, essendo il giudicato sempre rilevabile anche d'ufficio con giurisdizione piena ad opera della cassazione, purchè esso risulti - come nella specie - dagli atti prodotti nel corso del giudizio di merito (cfr. Sez. un., n. 9050/2001 e n. 226/2001).
Si tratta, tuttavia, di una doglianza infondata.
A parte il rilievo che i pretesi effetti di giudicato scaturenti dalla citata sentenza del Tar potrebbero riguardare unicamente la società (…), che è stata parte di quel giudizio amministrativo, e non anche il sig. (…), il quale invece non vi partecipò, occorre osservare come detta sentenza non contenga alcuna statuizione di merito, essendosi limitata a dichiarare inammissibile il ricorso perche’ tardivo.
Ma, alla stregua del costante insegnamento di questa corte, le sentenze dei giudici amministrativi, come quelle dei giudici ordinari di merito, sono suscettibili di acquistare autorità di giudicato (esterno) anche in tema di giurisdizione, e perciò di spiegare i propri effetti anche al di fuori del processo nel quale siano state rese, solo se la statuizione sulla giurisdizione in esse contenuta si coniughi con una statuizione di merito (cfr., tra le altre, Sez. un. n. 802/1999, n. 16779/2005, n. 27893/2005 e n. 27899/2005).
Poiche’ nel caso in esame tale situazione, come s'è detto, non ricorre, nessun giudicato sulla giurisdizione può essere in questa sede invocato.

5.3. Esclusa, dunque, la possibilità d'invocare l'autorità di un precedente giudicato sulla giurisdizione, si deve altresì senz'altro escludere che, nella specie, difettasse la giurisdizione del giudice ordinario a pronunciare su azioni - azioni di accertamento del diritto di proprietà e di risarcimento di danni per illecito aquiliano - il cui petitum (formale e sostanziale) è indiscutibilmente configurabile in termini di diritto soggettivo, e rispetto alle quali l'eccepita esistenza di un decreto di incameramento ad opera della presidenza della giunta regionale dei titoli azionari potendo condurre al rigetto o all'accoglimento delle proposte domande, a seconda che quel decreto sia o meno da considerare legittimo - ma non certo di giurisdizione.
Vanno d'altronde qui richiamati, per evidente analogia di ratio, i principi già espressi da questa corte in materia di riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti contributi e sovvenzioni pubbliche, con riguardo alle quali si è ripetutamente affermato che, nella fase successiva al provvedimento attributivo del beneficio, l'interesse del beneficiario alla conservazione della disponibilità delle somme erogate assume consistenza di diritto soggettivo di fronte alla contraria posizione assunta dalla pubblica amministrazione tutte le volte in cui tale posizione si puntualizzi in provvedimenti che, quale che sia la loro configurazione formale, trovino fondamento (non già in una ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma) nell'asserito inadempimento, da parte del beneficiario dell'erogazione, degli obblighi derivanti dal provvedimento attributivo (Sez. un., n. 6639/2005, n. 5617/2003 e n. 6489/2002).
Non diversamente, nel caso in esame, il diritto soggettivo del privato sulle azioni depositate in cauzione non è suscettibile di ridursi ad interesse legittimo in conseguenza del provvedimento con cui la pubblica amministrazione ne abbia disposto l'incameramento, essendo questo un provvedimento non condizionato da valutazioni discrezionali, bensì adottato unicamente nell'ambito di poteri verifica e di controllo dell'adempimento degli obblighi in relazione ai quali il privato aveva proceduto a detto deposito cauzionale.

6. Attengono al merito le ulteriori doglianze espresse nel ricorso proposto dalla Regione Sardegna.
6.1. La ricorrente lamenta, in specie nel secondo motivo (ed in un ulteriore profilo di doglianza esposto nella parte finale del terzo motivo), che erroneamente la corte territoriale, per effetto del sopravenuto regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari, abbia considerato illegittima la pretesa dell'amministrazione di incamerare le azioni al portatore a suo tempo depositate in cauzione dal sig. (…), facendone discendere un obbligo risarcitorio a carico della medesima Regione. Sostiene che, viceversa, detta pretesa era stata avanzata quando quelle azioni al portatore ancora potevano esistere e circolare (in forza della disposizione transitoria dettata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 74) e che, comunque, trattandosi appunto di titoli al potatore costituiti in deposito irregolare, del tutto legittimamente la Regione ne aveva chiesto la conversione a proprio favore in titoli nominativi, essendo pacifico che si fossero verificate le circostanze in base alle quali la cauzione avrebbe potuto essere incamerata. Donde anche l'infondatezza della rivendica di proprietà di quei medesimi titoli avanzata dal sig. (…).

6.2. Si duole poi l'amministrazione regionale, nel quarto motivo, che la corte sarda, differenziando la situazione delle prime duemila azioni consegnate originariamente dal sig. (…) a titolo di cauzione da quella delle altre ottomila azioni consegnate in un momento successivo (in vista dell'aumento di capitale poi non eseguito) e negando che anche queste ultime concorressero a costituire la cauzione prevista della citata L.R. n. 10 del 1957, abbia violato gli artt. 112 e 346 c.p.c., perche’ siffatta tesi era stata sì prospettata dalla difesa degli attori in primo grado, ma non era stata più poi ripresa dalla quella stessa difesa in appello.
Ne’, comunque, quanto affermato sul punto nell'impugnata sentenza sarebbe esatto (ed, in ogni caso, sarebbe mal motivato), dovendosi invece ritenere che anche il secondo deposito azionario avesse avuto la medesima funzione cauzionale del primo, ancorche’ eseguito in vista di un aumento di capitale futuro che poi non seguì ma al quale la società sarebbe stata tenuta.

6.3. Errata in diritto ed insufficiente nella motivazione sarebbe poi l'impugnata sentenza - secondo quel che si legge nel quinto ed ultimo motivo del ricorso della Regione - anche nel punto in cui ha pronunciato condanna generica della medesima Regione al risarcimento dei danni, senza però considerare che nessun danno, neppur solo potenziale, era stato dimostrato dagli attori, essendo pacifico che i controversi titoli azionari erano stati restituiti al liquidatore della società, il quale, dunque, avrebbe potuto senza ostacolo dar corso alle operazioni di liquidazione indipendentemente dall'esistenza della lite sulla proprietà di dette azioni.

7. Le doglianze di merito ora riferite appaiono fondate, ma solo nei limiti di cui appresso.
7.1. E' opportuna anzitutto una breve ricognizione delle norme rilevanti ai fini della decisione della controversia.

7.1.1. S'è già accennato che la L. n. 10 del 1957 della Regione Sardegna prevedeva la possibilita’ che fossero emesse azioni al portatore da società con sede nella regione disposte a creare o gestire nuovi impianti industriali per la produzione in luogo di beni o servizi o per nuove iniziative armatoriali (art. 1);
stabiliva che l'autorizzazione ad emettere tali azioni fosse di volta in volta concessa con apposito decreto del presidente della giunta regionale (art. 2); ed aggiungeva che il medesimo decreto avrebbe dovuto disporre il deposito presso la tesoreria regionale di una cauzione pari al decimo del capitale della società emittente le azioni al portatore (cauzione costituita, a scelta del richiedente, da denaro, titoli di stato o azioni della stessa società), con le ulteriori precisazioni che analoga cauzione avrebbe dovuto esser depositata in caso di successivo aumento di capitale e che, sempre con lo stesso decreto, sarebbe stato fissato il termine entro il quale avrebbero dovuto essere ultimate da parte della società le opere o gli impianti, potendo tuttavia il suindicato vincolo di deposito cauzionale esser prorogato anche oltre tale termine, a garanzia della perdurante osservanza delle prescritte condizioni (art. 3). Il successivo art. 6 della citata legge prevedeva, poi, una procedura di incameramento della cauzione nell'ipotesi d'inottemperanza della società alle condizioni fissate dal decreto di autorizzazione, di ingiustificato ritardo nell'esecuzione delle opere e degli impianti o di eventuali comportamenti fraudolenti posti in essere dalla medesima società; mentre il successivo art. 7 stabiliva il modo in cui la cauzione sarebbe stata liberata quando fossero state adempiute le prescrizioni di legge e quelle poste dal decreto autorizzativo.

7.1.2. In epoca successiva, la L.S. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 13, delego’ il Governo all'abolizione delle deroghe al principio della nominativa obbligatoria dei titoli azionari previste nelle leggi di regioni a statuto speciale, ivi compresa dunque la L.R. Sardegna n. 10 del 1957.
La delega trovo’ attuazione nel D.P.R. n. 600 del 1973, il cui art. 74 espressamente stabilì che le azioni di tutte le società aventi sede nel territorio nazionale dovessero essere nominative, mentre le azioni al portatore precedentemente emesse avrebbero dovuto essere presentate alla conversione, per divenire nominative, entro il 31 dicembre del 1974. Il successivo art. 76, comma 1, previde poi genericamente l'abrogazione, a partire dall'entrata in vigore del decreto stesso (1 luglio 1974) delle "disposizioni di altre leggi non compatibili con quelle del presente decreto".

7.2. Secondo la corte d'appello la disposizione da ultimo citata avrebbe fatto venir meno, sin dalla suddetta data del 1 luglio 1974, l'intero impianto normativo della citata legge della regione Sardegna e, di conseguenza, avrebbe privato l'amministrazione regionale di qualsiasi possibilità, non solo di autorizzare l'emissione di nuove azioni al portatore ai sensi di detta legge, ma anche di procedere all'incameramento di quelle già emesse e depositate a titolo di cauzione, pure in presenza delle condizioni alle quali la legge medesima prevedeva tale potere di incameramento.
Ma questa conclusione non può essere condivisa.
In primo luogo, occorre sottolineare come l'abrogazione disposta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 76, comma 1, si riferisca a singole "disposizioni di altre leggi non compatibili". La sua applicazione perciò richiede una puntuale valutazione di compatibilità o incompatibilità con le nuova norme non già (o non necessariamente) della legge regionale nella sua interezza, bensì delle singole e specifiche disposizioni in essa contenute.
In quest'ottica, mentre è evidente che il regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari introdotto sull'intero territorio nazionale ha reso impossibile, sin dal momento della sua entrata in vigore, l'emissione di nuove azioni al portatore, per ciò stesso escludendo ogni ulteriore vigenza delle disposizioni della citata legge regionale che fino a quel momento avevano invece consentito all'amministrazione di autorizzare l'emissione di titoli siffatti, una uguale conclusione non può trarsi con riferimento a vicende riguardanti azioni al portatore già in circolazione, ricadenti nella previsione della medesima legge, specie se tali vicende abbiano radice in eventi pregressi e si pongano - come nel caso in esame - quale momento finale di una sequenza giuridica iniziata e svolta in epoca anteriore all'entrata in vigore del nuovo regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari.
Come detto, le azioni di cui si discute erano state a suo tempo depositate a titolo di cauzione, in conformità a quanto contemplato dalla normativa che ad un simile onere condizionava l'autorizzazione ad emettere titoli al portatore, ma si era poi verificata una delle situazioni in presenza delle quali era previsto il diritto della Regione d'incamerare la cauzione, e le azioni al portatore ancora costituivano (almeno sino alla scadenza del termine per la loro utile conversione in titoli nominativi) beni atti alla circolazione, dotati di valore economico, e quindi idonei a svolgere la loro funzione cauzionale. Non si comprende, allora, per qual motivo il sopravenuto nuovo regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari avrebbe dovuto privare la Regione dell'ormai maturato diritto d'incamerare detta cauzione, la quale oltre tutto, come già notato, avrebbe ben potuto esser sin da principio costituita anche da beni diversi dai titoli al portatore, a riprova dell'irrilevanza del sopravenuto obbligo di conversione di tali titoli rispetto alla loro funzione cauzionale.
Non è dato perciò ravvisare alcuna ragione d'incompatibilità logica o giuridica tra le nuove disposizioni della normativa statale ed il perdurante vigore (non, ovviamente, della legge regionale n. 10 del 1957 nella sua interezza, bensì) delle specifiche norme regionali che legittimavano l'amministrazione regionale ad incamerare la cauzione in presenza delle previste condizioni.
Non essendo peraltro neppure contestato che le opere e gli impianti progettati dalla società (…) non erano stati realizzati nel previsto termine e che, pertanto, si erano in concreto verificate le condizioni da cui le anzidette norme facevano discendere il diritto dell'amministrazione regionale d'incamerare la cauzione, appare giuridicamente errata la conclusione di merito cui la corte d'appello è pervenuta nell'accertare il diritto di proprietà del sig. T. sulle duemila azioni depositate presso la tesoreria regionale a fronte del capitale di costituzione della società (…).

7.3. Risultano pertanto fondati, alla stregua di tali considerazioni e nei limiti sopra indicati, il secondo ed (in parte qua) il terzo motivo del ricorso principale.

7.4. Fondato non è, invece, il quarto motivo del medesimo ricorso.

7.4.1. Non lo è, anzitutto, con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c.. Se è vero che all'inesistenza di un titolo originario che legittimasse la Regione a trattenere le ottomila azioni, depositate in vista dell'aumento del capitale poi non effettuato dalla società (…), gli attori si erano espressamente riferiti nelle loro difese di primo grado e non anche in quelle d'appello, non per questo appare essersi determinata preclusione alcuna a che il giudice di secondo grado potesse occuparsene. Non si trattava, infatti, ne’ di un'autonoma domanda ne’, tanto meno, di un'eccezione, che, se non accolta dal primo giudice, avrebbe dovuto esser riproposta espressamente in sede di gravame. Si trattava, invece, di un mero profilo argomentativo, addotto a sostegno della domanda di accertamento della proprietà dei titoli azionari in questione, sul quale il tribunale ha reputato superfluo soffermarsi avendo comunque ravvisato l'esistenza di altre assorbenti ragioni di accoglimento di quella domanda, ma che non per questo poteva ritenersi ormai estraneo al dibattito processuale riacceso dall'atto d'appello proposto dalla Regione.

7.4.2. Le ragioni per le quali la corte d'appello ha ritenuto non sussistente il diritto della Regione di incamerare (oltre alle duemila azioni depositate quale cauzione a fronte del capitale di costituzione della società) anche le altre ottomila azioni che erano state depositate dal sig. (…). nella tesoreria regionale in vista di un aumento di capitale poi di fatto non eseguito, benche’ assai sinteticamente espresse nella motivazione dell'impugnata sentenza, risultano chiare e, nel merito, condivisibili.
Se è vero, infatti, che il deposito di queste ultime azioni costituiva una sorta di adempimento anticipato dell'onere di prestazione della cauzione che sarebbe scaturito dal previsto aumento del capitale sociale, cui la Regione aveva consentito, non per questo se ne può dedurre che l'effettiva deliberazione ed esecuzione di tale aumento configurasse un obbligo (anziche’ una mera facolta’) per la societa’ medesima; ne’, quindi, puo’ ritenersi che il non avervi poi in concreto provveduto legittimasse l'amministrazione regionale a rivalersi su titoli la cui funzione cauzionale era prefigurata dalla legge in rapporto non al (non sussistente) obbligo di aumento del capitale, bensì all'esecuzione delle opere e degli impianti in vista della cui realizzazione l'aumento del capitale avrebbe potuto eventualmente essere deliberato (ma in concreto deliberato non fu) dalla società. Chiaro, in tal senso, è il già accennato disposto della L.R. n. 10 del 1957, art. 3, comma 3, ("Allo stesso titolo e con le medesime modalità deve essere depositata uguale percentuale in caso di successivo aumento di capitale"), e chiaramente se ne deduce che, in assenza del previsto aumento del capitale cui l'ulteriore cauzione avrebbe dovuto ricollegarsi, la Regione non aveva alcun titolo per trattenere in deposito - e tanto meno poi per incamerare - le ottomila azioni di cui si discute.

7.5. Infondato e’, infine, anche l'ultimo motivo di ricorso, che, per un verso, investe valutazioni di merito (se, in concreto, il comportamento illegittimo consistito nell'aver preteso di incamerare titoli azionari almeno in parte non spettanti all'amministrazione regionale abbia o meno davvero potuto ostacolare le operazioni di liquidazione della societa’) non suscettibili di esame in questa sede; per altro verso, postula vizi di motivazione non riscontrabili nell'impugnata sentenza, se non a condizione di procedere ad un esame di circostanze di fatto cui il ricorso allude ma in modo non sufficientemente specifico, e che, per la loro stessa natura, sfuggono anch'esse allo scrutinio di questo giudice di legittimità.

8. L'impugnata sentenza deve pertanto essere cassata in relazione alle sole censure che sono state accolte, ossia solo nella parte in cui, confermando la pronuncia di primo grado, ha accertato la proprietà del sig. (…) sulle duemila azioni della società (…), del valore nominale di L. 10.000.000 ciascuna, da lui depositate in cauzione presso la tesoreria della Regione Sardegna a fronte del capitale di costituzione di detta società. Restano invece ferme le statuizioni della medesima sentenza riguardanti la proprietà delle ulteriori ottomila azioni depositate dallo stesso sig. (…) e la condanna generica della Regione Sardegna al risarcimento dei danni.

Al parziale annullamento della sentenza d'appello non e’ necessario far seguire un giudizio di rinvio, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto e potendo la causa essere senz'altro decisa nel merito nei termini già anticipati al punto 7.2..

9. La parziale soccombenza reciproca delle parti induce a compensare tra le stesse le spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La corte:
1) riunisce i ricorsi;
2) rigetta il ricorso incidentale;
3) accoglie parzialmente il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale;
4) rigetta ogni altra censura proposta in detto ricorso;
5) dichiara che nella presente controversia la giurisdizione spetta al giudice ordinario;
6) cassa l'impugnata sentenza in relazione alle censure accolte;
7) pronunciando nel merito, rigetta la domanda di accertamento della titolarità in capo al sig. (…) delle duemila azioni della società (…) s.p.a. a suo tempo depositate in cauzione presso la tesoreria della Regione Autonoma Sardegna a fronte del capitale di costituzione di detta società;
8) compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2006